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lunedì 28 febbraio 2011

Il piccolo soldato in cerca dell'isola del tesoro.

Abdel ha 7 anni, abita a Bengasi in Libia e dalla sua finestra vede una grande fetta del Mediterraneo e ogni giorno le navi salpare.
E' un bambino scaltro che ogni giorno va a giocare con il nonno Matteo, di origini italiane, a far volare gli aquiloni.
Sotto il sole cocente africano ma davanti ad un mare straordinario, nonno Matteo prende per mano il piccolo Abdel e lo porta in una spiaggia vicino alla grande città, Bengasi appunto, per fargli assaggiare un po' di mondo e per fargli vedere che oltre l'orizzonte c'è l'Italia.
Al piccolo non gliene importa poi molto di cosa era l'Italia, di cosa era la Libia, di cosa fosse Bengasi. Lui era un appassionato di aquiloni e quando il buon vento lo permetteva, non esitava a far volare la sua piccola creazione fatta di carta e di qualche legnaccio raccolto in spiaggia.
Si allacciava dei sandali comprati ad un mercatino lì vicino, si metteva un fazzoletto in testa che lo coprisse dal sole e con la spensieratezza dei suoi 7 anni prendeva il cammino per il suo gigantesco parco giochi.
Il nonno era sempre con lui perchè anche se il piccolo era furbo, intelligente e caparbio bisognava comunque tenerlo d'occhio.
Di tanto in tanto, vedevano delle navi salpare e il nonno fermava il gioco del bimbo per fargli ammirare queste costruzioni gigantesche che partivano dalla spiaggia di Bengasi e partire per chissà dove e ogni volta erano favole inventate che il vecchio Matteo raccontava al nipote incantato.
Una volta la nave era piena di uomini che cercavano l'oro e finivano nella Luna e un'altra volta i protagonisti erano degli altri uomini in cerca di un'isola distante e finivano per girare mille mari e fermarsi in tutte i porti del mondo, perchè il mondo andava guardato per la sua bellezza e non per altre brutte cose, ricordava sempre il nonno.
I giorni passavano veloci e il nonno guardava il suo piccolo divertirsi davanti a questo gioco magico che gli aveva costruito e mentre lo guardava, gli si bagnavano gli occhi e guardava l'orizzonte dove c'era un'altra terra, un'altra storia, dell'altra gente.
Un giorno di dicembre i due compagni di giochi erano sulla spiaggia e ad un certo punto arrivarono degli uomini molto più scuri di loro con in mano delle armi.
Il piccolo corse dal nonno, consapevole che quello non era più un gioco.
Il nonno si mise il piccolo terrorizzato dietro la schiena e si mise tra l'uomo col fucile ed il bambino come scudo umano.
I due uomini iniziarono ad urlare ed il vecchio Matteo minacciò il soldato di non toccare il nipote e che se avesse dovuto far qualcosa, si sarebbe offerto volontario.
A sentire quelle parole di sfida e di arrendevolezza con il calcio dell'arma il soldato sfondò la testa del nonno che morì davanti agli occhi del piccolo.
Il piccolo Abdel scappò in casa piangendo disperato e terrorizzato per quanto accaduto mentre i soldati pestavano con i loro anfibi il suo aquilone.

Dopo qualche giorno il piccolo Abdel assieme ad altri bambini tornò sulla spiaggia di Bengasi, sulla stessa spiaggia dove vide morire il nonno Matteo.
Gli hanno detto di salire su una nave tutta arrugginita per raggiungere un posto che non sapeva bene cosa fosse.
La vecchia nave partì, erano più di duecento le persone a bordo e dalla prua il piccolo Abdel vide lontanissimo il suo aquilone illuminato dal riflesso del sole africano, pensò alle storie raccontate dal nonno Matteo e si imbarcò come un piccolo soldato in cerca dell'isola del tesoro.

lunedì 21 febbraio 2011

Viva il Professore

Quante polemiche, dio mio, quante polemiche!
Il Mediterraneo sta diventando una polveriera, l'intero nord Africa è in guerra, l'Italia sta cozzando contro il solito noiosissimo "film già visto" e tutti, ma dico tutti, hanno qualcosa da ridire sulla vittoria del Professore a Sanremo.
1)"Perchè Sanremo ormai è diventato un centro di potere e un alternativo come Vecchioni dovrebbe esibirsi in ben altri palchi" (Perchè il "Tenco"e il "Gaber" cosa sono diventati?)
2)"Perchè è inutile che faccia tanto l'intellettuale quando lo veste uno stilista".
3)"Perchè non può dire a Sanremo che la canzone popolare sta diventando simbiosi con la canzone d'autore!" (e perchè non può dirlo?).

Queste sono solo tre dei milioni di constatazioni del populino italiota, lo stesso che a maggio del 2006 voleva Lippi, Buffon e tutti gli Juventini alla gogna per poi salire sul carro dei vincitori due mesi più tardi.
E' solo una metafora sportiva ma che rende bene l'idea di quello che siamo: un popolo chiacchierone!!
Cosa me ne importa se a Benigni hanno dato un compenso di tot. mila euro se in cambio ha offerto 1 ora di CULTURA su Raiuno (roba che non si vedeva da anni) ??
Queste sono chiacchiere da bar, anzi permettetemi, da quei bar che hanno come argomento unico il "sentito dire" (ed è proprio lì che muore il pensiero).

Il Festival della Canzone Italiana dopo qualche anno, non so per quale strano meccanismo, ha fatto vincere LA CANZONE più bella, la poesia in musica, perchè non ha vinto Roberto Vecchioni, ha vinto la canzone d'autore.
Accidempoli, meno male!
Il mio parere non conta un granchè ma mi sono commosso. Mi sono commosso per l'interpretazione, mi sono commosso per le parole, mi sono commosso per la forza che sprigionava quell'esibizione, mi sono commosso per gli occhi lucidi del Prof, mi sono commosso perchè quel pezzo fa commuovere!
Mi dice sempre uno dei miei maestri che un testo per funzionare deve "essere emozionale".
Questo Festival mi è piaciuto, ci sono stati pezzi belli, altri "normali", altri ancora da suicidio ma sicuramente sopra alla media degli ultimi dieci anni.
Quello che ha vinto è stato sicuramente il più bello e quello che ha emozionato tutti, non c'è altro da dire, con buona pace del populino e di chi ha sempre da dire qualcosa su tutto.

Chiamami sempre amore (che ce n'è bisogno!).

lunedì 14 febbraio 2011

Il Pirata

A volte non importa il perchè, a volte ci basta l'essenza delle cose.
Ci sono personaggi che attraversano il cuore della gente, delle persone di ogni età e di ogni appartenenza, di ogni credo, di ogni fede e di ogni pensiero.
Ci sono emozioni che cancellano le differenze ideologiche, quelle politiche, quelle sociali.
Quando Marco Pantani scalava la Francia (ed il mondo) ero ignorante di ciclismo, come lo sono ora, non conoscevo le regole e non l'ho mai seguito.
Sapevo, tramite i racconti di mio nonno, dei Coppi e Bartali, eroi epici d'un tempo, che hanno unito un paese in fase di costruzione e si sono fatti raccontare ed amare non solo per le vittorie, per i numeri, per le statistiche ma anche e soprattutto per la passione e la bellezza dei movimenti in sella alla loro bici.
Marco Pantani emozionava: la sua smorfia di fatica emozionava, le sue gambe disegnate a matita emozionavano, il suo sorriso emozionava, il suo stile, la sua parlata, la sua voglia e la passione che metteva emozionavano.
Quando il Pirata vinse il Tour de France era sul tetto del mondo, era diventato leggenda, perchè solo il ciclismo ti fa meritare di arrivare sul tetto del mondo.
Perchè tu in piedi sui pedali scali le montagne, le colline, attraversi le pianure e i paesaggi sembrano quasi tutti uguali e non distingui più i colori dei paesaggi perchè sei troppo preso dall'arrivare prima di tutti.
E allora la gente parla di te, ti senti chiaccherato, i giornali parlano di te, sai che stai scrivendo la storia dello sport italiano e mondiale e non puoi esser indifferente a ciò.
Perchè la storia non la scrivono i mediocri, la storia la scrive chi, come il Pirata, sbuca dalla folla e scatta in fuga.
E poi è una storia tremendamente tipica italiana, la macchina del fango che si mette in moto, i giornalisti che ti sputtanano, il populino che prima ti osannava e poi ti butterebbe a mare come uno qualsiasi.
Ma Marco Pantani non era uno qualsiasi, Marco Pantani è stato un eroe tragico, è stato un eroe fragile ed epico, uno che ti fa scrivere le canzoni e i libri perchè la sua forza diventa la tua, la sua faccia scheletrica e la sua fine apocalittica raccontano meglio di mille parole.
Le parole sono macigni e il Pirata li sapeva scalare "...in fuga da tutti noi."

lunedì 7 febbraio 2011

Il Ginepro

Il Ginepro è una casupola trasformata a ristorantino che guarda sul Tirreno.
Esso è ormai finito a rottami e pietre, con tubi che pendono e ferri arruginiti che allontanano i pochi propensi a visitare questa camera finita nel dimenticatoio del mondo.
Chissà quante cose ha visto nella sua vita il Ginepro, chissà quante persone hanno camminato sotto al suo tetto e chissa quanti occhi hanno guardato il mare dalla sua finestra.
Ora non più, ora il Ginepro ha vissuto abbastanza ed è stato definito dall'uomo in un termine assai poco poetico un "edificio pericolante".
Io invece trovo poetico questo ex bar ed ex ristorantino che guarda al Tirreno dalle sue mille tinte d'azzurro.
Quanti camminatori, turisti, innamorati e peccatori hanno voluto fermarsi a ristorarsi in quella camera che funzionò come, appunto, ristoro.
Ora a vederlo con occhio razionale da uomo occidentale o da ingegnere di chissà che cosa, l'edificio è pericoloso poichè anche un cane che va a pisciarci dentro può farsi del male.
Ma il Ginepro è bagnato dal mare ed il mare lo bagna fino ai muri, scrostando quell'intonaco bianco diligente e lasciando quello che il mare lascia.. ovvero le rovine.
Le onde del mare che bagnano questa casupola in una sorta di "punto di non ritorno", poichè in quella spiaggia, non si può procedere oltre al Ginepro e ci si deve fermare e tornare indietro, son sempre le benvenute.
Quei quattro muri ed il mare hanno il compito di ostacolo insormontabile per la gente che tenta di vedere e di passare oltre.
La spiaggia, infatti, dura dall'inizio al Ginepro e non "dall'inizio alla fine" come si suol dire.
E' bellissimo, è poetico.
La scia che il sole dipinge sul mare e che riscalda i vecchi muri è illuminante in tutti i sensi.
Il Ginepro abbandonato dall'uomo, viene accudito da Madre Natura che lo scalda e lo bagna tutti i giorni ed esso offre ospitalità alle bestiole che nei giorni di pioggia vanno a dormirci dentro.
Se il Ginepro avesse un'anima, chissà se avrebbe scelto di essere uno dei classici e soliti locali sulla spiaggia che sfrutta la voglia di trasgressione giovanile vendendo porcherie in cambio di qualche euro oppure avesse accolto l'invito di Madre Natura che, con la sua voce profonda e potente, gli dice "Lascia i soldi a coloro che non sentono il mio grido, tu, Ginepro, fatti bagnare da fratello mare e da fratello sole".

Il Ginepro ha ospitato tanta gente ed offerto loro un ristoro ma ora per i vari fattori della vita ha deciso (mi piace pensarla così) che magari sta meglio disabitato a gustarsi appieno la luce del sole, la freschezza del mare che lo bagna e il ringraziamento degli animali che, quando piove, chiedono a lui un po' di conforto.

D'altra parte anche un muro può avere un'anima.