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giovedì 31 gennaio 2013

Scanzi: hai perso tu

Ciò che mi lega ad Andrea Scanzi è una stima ancestrale ed antropologica e proprio per questo ho deciso di fargli un appunto. Probabilmente non mi risponderà nemmeno poichè è un giornalista affermato ed io no (non sono neanche un giornalista e, per certi versi, ne vado fiero).

Nella bagarre arcinota con Alessandra Mussolini volevo dirgli che ha perso lui, non in quanto Andrea Scanzi, ma in quanto rappresentante del popolo.
La Mussolini si è comportata, inconsapevolmente (e questo "inconsapevolmente" è la peggior offesa che posso fare alla Mussolini che, anche se la leggesse, non la capirebbe), da vera Fascista.
Il vero Fascista chi era? Era un individuo ignorante con il potere in mano (ecco perchè non ci sarà mai una vera politica di destra in Italia) che al primo appunto che gli veniva fatto reagiva andandosene.
La Mussolini è inconsapevole di ciò, poichè le donne del fascismo dovevano stare a casa, imbavagliate da veli neri e mai si sarebbero neanche azzardate a pensare, di avere un certo tipo di potere. Ecco perchè la Mussolini, in realtà, offende molto più di Scanzi, la memoria di suo nonno. Il Fascismo aveva come comandamenti tre punti cardine: Dio, la patria e la famiglia. Tre pseudovalori che non esistono più o che non sono riconosciuti come tali, da nessuno, soprattutto da chi oggi rappresenta la destra.
Ma il gesto della Mussolini, a sua insaputa, vale molto di più: è il gesto di chi, essendo di una certa estrazione sociale (non culturale, per carità!), non perde neanche tempo a confrontarsi con chi gli smuove un appunto.
Il gesto della Mussolini rappresenta il vecchio Fascismo ma fa anche riflettere su cosa sia il vero Fascismo oggi.
Il Fascismo oggi è tutto: comprende un'unica idea di non-pensiero e non si differenzia più tra classi sociali.
Oggi se si prendono dieci persone da un bar, ad esempio, si prendono dieci omologati che non hanno una vera e propria coscienza politica. Vivono e questo già gli basta, per citare un Amico in comune.
Ora io mi chiedo e ti chiedo, Andrea: non è forse un po' anacronistico parlare di Benito Mussolini?
Mi spiego meglio: è diventata una moda (proprio perchè inconscia) non rispettare la memoria di Benito Mussolini ma siamo proprio sicuri che sia Benito Mussolini l'icona del pericolo che stiamo vivendo?
Certo, i crimini Fascisti sono acclarati perchè divenuti storici. Ma i crimini del Nuovo Fascismo, ovvero l'annientamento del pensiero e l'omologazione tra classi sociali che conseguono ad una logica di consumo che ormai è diventata inspiegabile, li vogliamo dire o andiamo ancora avanti con la storia di Benito Mussolini?
I veri Fascisti oggi sono tutti coloro che negano ciò. Ecco perchè non ci sono più differenze tra ideologie, perchè c'è un'unica ideologia di potere dettata dalla famosa Civiltà dei Consumi.

Ritengo, quindi, anacronistico e "modaiolo" il riferimento a Benito Mussolini ma riterrei molto più utile parlare di ciò che davvero ora annienta il pensiero (e quindi la vita) di un occidentale qualsiasi.
Ritengo anche Fascista il fanatismo con il quale ci si è esaltati davanti a questa non-discussione: è da pecore.

Combattere un Nemico di cento anni fa non accorgendosi che Esso si è già trasformato in mille situazioni è anacronistico.

lunedì 21 gennaio 2013

Giorgio, perdonali

Ieri sera mi sono veramente incazzato!
E' stata un'incazzatura cosmica ma talmente implodente che, appunto, l'ho tenuta per me.
Ero di pessimo umore, se qualcuno azzardava ad avvicinarmisi, l'avrei cacciato a male parole.
Non posso accettare il teatrino messo in piedi da quel burattinaio di Fazio, in onore di Giorgio. Non ce la faccio davvero, sarebbe un insulto al mio "sentire".
Ottimi ospiti, artisti che stimo ma che non hanno niente a che vedere con Giorgio Gaber e con Sandro Luporini (che saggiamente non ha pronunziato parola durante tutto lo spettacolo).
Mi spiego meglio: io non ho niente contro Luca e Paolo, Bisio, Paolo Rossi, Enzo Jacchetti. Sono tutti Artisti con la "A" che sanno davvero fare grande arte.
Sono stati anche e davvero bravi a reinterpretare brani di Gaber, si vedeva che erano emozionati, presi a recitare pezzi di cui (ne sono sicuro) anche loro provavano imbarazzo.
Ma se Gaber abbandonò la televisione nei primi anni '70 ci sarà stato un motivo, o no?
La cosa più fastidiosa è la beatificazione laica di una persona che ha sempre ridicolizzato e criticato aspramente il conformismo ed il consumismo televisivo.
Perchè, Fazio, non fai uno speciale su Pasolini? Forse perchè Paolo Jannacci non avrebbe spazio?
Perchè questa celebrazione del nulla, Fazio?
Gaber non l'avrebbe voluta e si sbaglia a pensare che Sandro Luporini, fosse lì a promuovere un libro.
Quel libro, che ripeto, è il testamento spirituale artistico di Sandro, non ha bisogno di promozioni, proprio perchè a Gaber non ci si può avvicinarsi attraverso un varietà.
Gaber (e quando parlo di Gaber, parlo anche di Luporini, ovviamente) è stato un profeta, era troppo avanti, non è mai stato capito e non lo sarà mai finchè ci saranno queste finzioni.
La trasmissione di ieri è utile per chi conosce Gaber per "Destra e Sinistra" o per "Quando sarò capace di amare".
Ma ogni pezzo scritto da Giorgio e Sandro ha un principio ben definito, nulla è stato mai lasciato al caso, nemmeno una parola di una strofa.
Nessuno come Gaber ha spiegato le dinamiche interiori dell'uomo.
Nessuno come Gaber ha ridicolizzato quella finta solidarietà che ha portato l'Occidente ha piangere lacrime ridenti per una guerra che si concretizzava davanti alle nostre spiaggie, con il tacito consenso di tutti.
Nessuno come Gaber ha descritto Fabio Fazio: un perfetto conformista.
Fazio non è stupido, sotto sotto odia Gaber, perchè sa che non sopportava quelli come lui.
Basta farsi venire in mente "C'è un'aria" o "Il conformista", tanto per citare due pezzi.
Non voglio insegnare niente a nessuno ma l'essere Gaberiani, e sentirsi tali, parte da un profondo cammino dentro noi stessi che non può certo essere banalizzato da un programma televisivo.

La conferma di ciò che ho appena scritto è stata la recita di Bertinotti e Veltroni in "Qualcuno era comunista..", non sapendo che quando venne scritta, era proprio contro questi parassiti che Giorgio e Sandro si scagliavano.

E ancora la frase che mi fa sempre più incazzare è stata quella che ho letto nei social network: frasi del tipo "L'unico neo di Gaber è Ombretta Colli". Ma come vi permettete?!

Perdonali Giorgio, non ci hanno capito proprio un cazzo!

domenica 20 gennaio 2013

Grazie davvero, Sandro

Non conoscevo, come molti, quasi niente di Sandro Luporini se non il suo pensiero (che è poi lo stesso di Giorgio).
Non sapevo, ad esempio, che da ragazzo era un giocatore di basket e che aveva addirittura giocato in Nazionale.
Non sapevo molte cose che adesso so, grazie a questa specie di testamento spirituale che ha scritto con Roberto Luporini (che è il nipote di Sandro) in occasione del decennale della scomparsa di Giorgio.
Quasi trecento pagine, divorate in una notte e mezza.
Quel libro è tutto ciò che Sandro non ha mai detto ma che ha lasciato dire alla mimica facciale di Giorgio, a quella sua corporeità sghemba e a quella voce che assomiglia a quella di un padre buono.
Sandro si è messo a nudo, come mai è successo. Racconta aneddoti ma anche prese di posizione su tanti argomenti, questa volta in prosa, senza raccontarli attraverso monologhi.
Io, che non ho mai visto Giorgio in teatro (a causa del peccato originale che m'ha fatto nascere nel 1986), ho colto, forse meglio di molti che hanno visto Gaber anche più volte, il senso di quello che volevano comunicare.
Due persone nettamente diverse, Sandro e Giorgio, quasi all'opposto.
Il primo, molto schivo, a disagio con telecamere e taccuini, riservato e taciturno. Il secondo, beh, lo conoscete: sopra il palco un leone, una volta sceso, più a suo agio con i fans, forse per quell'educazione formale che li distingue. Non che Sandro sia un maleducato, per carità, ma dà quella sensazione che se gli stai sulle palle, te lo dice. Giorgio non l'avrebbe fatto mai (e nel libro ci sono aneddoti a testimonianza di questo).
Li ha accomunati una straordinaria ironia, una voglia di urlare con compostezza ciò che non gli andava bene, un'accesa incazzatura verso chi "odia per frustrazione e non per scelta" e verso chi non prende mai una posizione.
Quarant'anni insieme, Sandro e Giorgio: un matrimonio perfetto e quando il primo dei due se ne andò ad altra vita, il sopravvissuto si chiuse in un assordante silenzio durato, appunto, dieci anni.
C'era bisogno di questo libro firmato Sandro Luporini.
C'era bisogno molto più dei vari cofanetti commerciali che la Fondazione Gaber ultimamente ci propina e che, anche Giorgio disgusterebbe.
E' così lontana la filosofia gaberiana da questo consumismo (che loro per primi, hanno combattuto) che fa quasi ridere.
Ma d'altra parte, come dopo la morte di Fabrizio De Andrè, c'è un non-bisogno di incensare e vendere repliche su repliche dell'artista che non c'è più, come se si potesse fargli dire qualcosa di più di quello che già non ha detto, che fa un po' schifo. E' assurdo e molto, appunto, consumista questo gioco. Senza rancore, Dalia.

Questo libro però è stato davvero una boccata d'ossigeno, una sferzata d'aria pura, per chi non ha fatto in tempo a vederlo/i dal vivo. E' un cerchio che si chiude, è una ferita che (un po') si rimargina.
C'è voluto Sandro, viareggino, classe millenovecentotrenta a far atterrare il volo del gabbiano ipotetico.
Almeno oggi, almeno adesso, un po' si vola.


lunedì 7 gennaio 2013

Ingroia e Grasso

Generalmente sono per il rispetto dei ruoli in una società (a suo dire) civile: il giudice fa il giudice, il giornalista deve (dovrebbe) fare il giornalista, Gasparri fa il Gasparri e il conformista fa sempre il conformista.
Ero troppo innocuo per giudicare la discesa in campo di Di Pietro quando avvenne, poi da cittadino mi feci una mia idea.
Cos'è cambiato dalla tangentopoli del 1992 (anno purtroppo fondamentale nella nostra storia ma non inserito nei programmi scolastici) ad oggi? Nulla.
Cambiano solo i nomi e, per altro, neanche tutti.
Anzi, oggi c'è addirittura chi guidò l'accusa nel famoso pool ad avere decine di immobili a sua insaputa (cit.) in giro per il mondo.
Inutile dire che Antonio Di Pietro se si era costruito una discreta (e qui esagero) credibilità politica, dopo una sola puntata di Report l'ha persa tutta (ecco il vero giornalismo).
Sentire parlare Di Pietro oggi di giustizia sarebbe come sentir parlare Jimi Hendrix ad un congresso contro le droghe leggere.
In questo duemiladodici, mentre gli italiani soffrivano la fame, si sono finalmente denudate situazioni troppo schifose: da Lusi a Belsito, le regioni (Lazio e Piemonte in primis) e pure Maruccio (che, per altro, sembra  un Cicciobello sfigato).
Ci mancavano Antonio Ingroia e Piero Grasso.
Il primo sembra ripercorrere le orme del predecessore Di Pietro, il secondo scade davvero molto dimostrando (semmai fosse necessario) quanto valgano le Istituzioni in questo paese.

Nulla da dire su Ingroia come magistrato, per l'amor di Dio, ma mi fanno specie i nomi che sta raccattando per fare la lista (ci manca solo un Cecchi Paone qualsiasi), mi fa specie anche il fatto che un uomo che ha combattuto a fianco a nomi che solo a pronunciarli bisognerebbe inginocchiarsi (Falcone e Borsellino, n.d.r.) abbia ancora l'illusione di poter cambiare qualcosa in questo paese.
Potevi farlo prima, Ingroia, se proprio dovevi.
La pancia del popolo ormai urla dalla fame, quella vera, e penso dia meno importanza agli sceriffi che si presentano all'improvviso per cambiare il mondo e ne diano di più a chi parla a quella pancia e lo fa con fatti testimoniati. Il tempo delle parole è davvero finito, cari Ingroia e Di Pietro: the end.

Piero Grasso è l'emblema di quanto ormai gli ideali non contino più.
In questo caso, il PD non c'entra (sì, è una notizia).
L'ex PROCURATORENAZIONALEANTIMAFIA, cioè colui che rappresenta la lotta alla Mafia entra in politica.
Sarebbe come trovare Bush ad un convegno di Emergency.
No, non ci siamo davvero.
Le cose sono due: o Grasso è sceso in campo per salvarsi la pelle (e qui mi limito a non giudicare) oppure si è fatto comprare come un Gerry Scotti qualsiasi.
In ogni caso è svilente come un uomo possa scendere nei fanghi della politica italiana, quando egli stesso, con il suo lavoro, la combatteva.
Perchè, chiariamoci: Cosa Nostra oggi, oltre ad essere ben radicata al Nord, è solo politica.
Certo, ci sono le famiglie che chiedono il pizzo o che fanno estorsioni eccetera ma la testa (da sempre) è Roma.
Non per niente Rita Borsellino, quando parlò del fratello, disse ai giornalisti e ai giudici di insistere su Nicola Mancino perchè lui sa.
Il Pd ha colto la palla al balzo: mettere in lista uno come Piero Grasso, in mezzo a mezze tacche o a dinosauri, è un colpo da novanta.

Queste, oggi, sono le Istituzioni italiane. Un repulisti sarebbe obbligatorio ma poi leggi i sondaggi e vedi Monti o Berlusconi ancora in auge e ti viene davvero voglia di mandare tutti a quel paese e diventare tu, rivoluzionario, senza bisogno che te lo dica Ingroia, il giustizialista.

mercoledì 2 gennaio 2013

L'amore non si spiega: De Gregori, l'ultimo dei pionieri

Io se fossi un critico musicale ed io potrei anche esserlo (cit.), dovrei essere asettico e distaccare l'affetto che provo per questo immenso artista con la barba bianca, io che l'ho visto ancora quando i peli non erano del tutto bianchi, contando più di venti live in giro per l'Italia.
Ne ricordo uno, a tal proposito, disperso nelle campagne piacentine, dove avevo appena preso la patente con una Uno Fire e dove, tra l'altro, ho conosciuto Guido Guglielminetti, alias il Capobanda, ricordo quel viaggio perchè al ritorno pensavo che quello era uno dei tanti viaggi e miraggi che avrei fatto, giurando amore eterno per il Principe, in futuro. E così fu.
L'anno duemiladodici ha presentato un conto salato a chi, come il sottoscritto, è nato e cresciuto con la canzone d'autore: la scomparsa di Dalla, l'addio di Fossati e l'invecchiamento, non solo fisico, di molti altri.
Il Principe no. Anzi, il Principe si è avvicinato, sorprendendo tanti suoi aficionados, al pubblico come mai prima d'ora, facendo live in posti impensabili, tendendo la mano a quel pubblico che da quasi quarant'anni lo segue e lo ama.
C'ha regalato questo disco, il Principe col cappello da marinaio, orfano del libretto (si dice per motivi commerciali, perchè, si dice, i libretti non li legge più nessuno, ma chi l'avrà mai detto..) ma con tanto contenuto al suo interno.
E' di difficile comprensione "Sulla strada" per chi non è abituato al tipo di scrittura degregoriana che utilizza, come pochi, la bellezza della metafora e ben poca ironia. Come dire: se capisci, bene, altrimenti non è un problema mio. (cit.)
Arrangiamenti e suoni da capogiro più che da capobanda, griffati Nicola Piovani (e stic..) ed appunto Guido Guglielminetti.
Il singolo ricorda parecchio "Pezzi", il contenuto è di stile degregoriano: piacevole, ascoltabile, orecchiabile, da viaggio, da strada.
Ottimo pezzo anche "Passo d'uomo" che riecheggia un monito che De Gregori mai ha abbandonato, ovvero, la sua riluttanza verso l'occhio di bue che per uno come lui sembra d'obbligo.
Il Principe vuole camminare a passo d'uomo e qui si collega il pezzo più impopolare, se vogliamo, del disco ma probabilmente il migliore "Guarda che non sono io", dove mette sotto i riflettori il suo disagio verso la mondanità, ricordando che " Qualcuno mi vede e mi chiama per nome, si ferma e mi ringrazia, vuole sapere qualcosa di una vecchia canzone e io gli dico scusami, però non so di cosa stai parlando, sono qui con le mie buste della spesa. Lo vedi sto scappando, se credi di conoscermi, non è un problema mio". Touchè.
Metaforico ma non solo è "Omero al Cantagiro" dove un Omero risorto, sale sul palco del Cantagiro e canta la guerra di Troia evidenziando che solo il gesto di Omero potrebbe aprire gli occhi verso la crisi della musica odierna.
Altro capolavoro è "Falso movimento" con tocchi musicali di classe, canzone d'amore che resta un evergreen nel catologo principesco.
Gli altri pezzi, sono sempre con il solito marchio di fabbrica, mezzo metaforico e mezzo no. Ne "La guerra" riprende sonorità già ascoltate nel disco di duetti di canzoni popolari con Giovanna Marini, pezzo malinconico, dove si tirano le somme al '900, secolo di guerre, quello delle trincee e della polvere da sparo, tema già ripreso dal Principe in "Pezzi", ad esempio.
Nostalgico anche "Belle époque" con sonate da secoli scorsi, carino e penso anche abbastanza biografico  "Ragazza del '95" e "Showtime".
Insomma, non è giusto fare paragoni tra dischi dello stesso artista, sarebbe facile, per me, indicare l'apice in "Amore nel pomeriggio" (primissimi anni '90), ma tutto sommato in questa crisi cantautorale, un De Gregori del genere va bene.
Come sono contento, Francesco.