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lunedì 28 novembre 2011

Gioca e sei felice.

In tabacchino, la settimana scorsa, una signora sui sessanta circa, pronunzia le seguenti frasi mentre fa uscire una banconota da cinquanta euro dalla borsetta (coccodrillata) per pagare il conto "E pensare che con tutti i soldi che diamo allo Stato.. mancano solo quelli per il Lotto, siamo proprio degli ebeti. Ahahahahah". Ahahahahahaha lo dico io, che non ho mai giocato una schedina e neanche un gratta (gratta, gratta..) e vinci.
L'importante è rendersi conto dell'errore e poi perseverare (?).
Non conosco l'ammonto totale delle entrate dello Stato per i giochi (che sono da ritenere "gioco d'azzardo" a tutti gli effetti) come il Lotto ed affini.
Dopo quell'episodio in tabacchino, mi è venuto in mente che vedevo una smania così pazzesca verso il gioco solo nella Jugoslavia che si stava dividendo, quando io bambino, portavo assieme a tanti altri, aiuti umanitari nel centro della futura Croazia.
Il meccanismo mentale è semplice: voglio diventare ricco, l'unico modo per farlo (senza rubare) è quello di tentare la fortuna, non importa come.
Perfetto, anche qui, lo Stato ti aiuta.
Sì, ti aiuta a sperperare i tuoi soldi.
Provate a pensare ad una famiglia di tre persone che giocano anche solo due schedine alla settimana (mercoledì e sabato), e moltiplicate la spesa per le 52 (cinquantadue) settimane in un anno.
Sì, sono belle cifre, sono cifre che magari farebbero più comodo se spese in altri modi.
Eppoi (?) c'è la televisione che censura Luttazzi e fa vedere degli spot pubblicitari come quelli dei superalcolici (ma con la scritta benpensante "bevi responsabilmente"), delle automobili che fanno i 300 km/h (ma poi dove li faranno sti 300 km/h, visto che il limite massimissimo è 130??) e dei giochi di Stato con sigle orecchiabili e, come sottofondo, la voce di un pirla che ti provoca "Ti piace vincere facile?". Ed i più ci cascano.
Altre mode degli ultimi anni: poker online e scommesse (per non parlare delle "macchinette" nei bar).
Sia ben chiaro che: uno è libero di spendere i propri soldi come vuole, per carità, ma almeno buttateli al cesso per divertirvi: una cena, un disco, un libro, un regalo, cioè ce n'è!
Il quadro di tutto ciò è desolante: un paese che sprofonda di debiti e gli italiani che sperano (giocando, alè) che lo Stato gli regali duecentomilioni di euro.
P.S. guardate fuori, i maiali che volano.

lunedì 21 novembre 2011

Lasciate in pace Fabrizio

Premetto che nel mio blog parlo a titolo personale, come sempre, e volevo porre all'attenzione di chi mi legge una cosa che per me suona (è proprio il caso di dirlo) come un bestemmione in chiesa.
Premetto, inoltre, che sono assolutamente ignorante musicalmente (nel senso tecnico) ovvero che non sono un musicista e che il pianoforte ho smesso di suonarlo all'età di 12 anni a causa di un'insegnante che me l'ha fatto odiare (...).
Dopo queste due premesse mi sembra doveroso esprimere il mio "sentire" sull'ultimo lavoro fatto a Fabrizio De Andrè.
Sì, avete letto bene: fatto "A" Fabrizio De Andrè.
Lo trovo un lavoro qualitativamente talmente di bassa lega che sembra quasi sia stato fatto a puro scopo economico (?).
Di Fabrizio conosco tutto: tutte le sue opere (a memoria), un figlio, alcuni suoi stretti collaboratori, alcuni suoi ex musicisti, alcuni suoi grandi amici.
La voce di Fabrizio è una delle prime voci maschili che io ho sentito e ascoltato, fin dai primi anni della mia vita, quando mia madre veniva a svegliarmi con "Storia di un impiegato" piuttosto che con "La buona novella".
La mia infanzia ha avuto come sottofondo la sua voce profonda, straordinaria, inimitabile e da contralto, tutti quei suoni un po' etnici e un po' genovesi che hanno segnato, soprattutto, gli ultimi album di Faber.
Detto questo, non sono certo il tipo che mette in discussione la London Simphony Orchestra, non ho gli strumenti, non potrei mai.
E' come se il Trota avesse da ridire su un articolo di Montanelli: non ci sta, dai.
E' come se Bergomi insegnasse a palleggiare a Maradona (potrei continuare all'infinito, ok, mi fermo qui).
Questi fotomontaggi musicali non ci stanno. Non mi piacciono, non li voglio sentire e non comprerò mai quest'ultima genialata.
Fabrizio me lo voglio ricordare che canta "Ho visto Nina volare" mentre pizzica le corde, senza troppe pippe intorno, perchè De Andrè non ne ha bisogno.
Fabrizio De Andrè è come un Magritte: puoi metterci anche la cornice più costosa del mondo attorno, ma è il dentro che risplende.
I pezzi che racchiudono quest'ennesima raccolta Deandreiana sono sempre i soliti e siccome sono sempre i soliti, ci si deve pur inventare qualcosa, o no?
Non voglio pensare al motivo per cui è stato fatto questo, dico solo, da amante appassionato, che non ce n'era assolutamente bisogno.

Fabrizio, perdonali, perchè non sanno quello che fanno (cit.).

lunedì 14 novembre 2011

Quanto durerà ancora questa festa?

In questi giorni di giubilo e di feste nazionali vengono tremendamente buone le parole di Giorgio (Gaber n.d.r.) nelle quali specificava quanto il voltagabbanesimo sia sport diffuso e ben praticato nel belpaese "Qualcuno era comunista perchè prima (prima, prima..) era fascista..".
Non che Giorgio (Gaber n.d.r.) abbia mai sbagliato i tempi tecnici previsti delle varie catastrofi ma in "Qualcuno era comunista.." oggi si dovrebbe veramente riflettere.
Era come nel "post tangentopoli" quando tutti giuravano sui propri figli (cit.) di non aver mai (assolutamente, mai) votato la DC.
Silvio è caduto (ma ne siamo davvero sicuri?) e si continua a festeggiare.
Si festeggia come quando Rossi rifilò la tripletta al Brasile nell'82, si festeggia come quando Grosso infilò la Germania all'ultimo secondo nel 2006, si festeggia come quando i Jalisse vinsero Sanremo nel '97 (eh?). Insomma, si festeggia. E' gloria nazionale, è segnale che gli dèi non si sono dimenticati di noi, è con vibra e vibrante soddisfazione (cit.) che siamo un paese libero!
Ah sì?
Allora festeggiamo anche chi ha abbandonato il Titanic prima che affondasse, beatifichiamo le Carlucci (dio mio, la Carlucci..) e gli Straquadanio di turno, piangiamo per l'addio di Fede al suo nontelegiornale, eccetera eccetera eccetera.
Di lui ci mancheranno tante barzellette e tante citazioni, che al momento ci sono sembrate surreali, dette da un marziano, ma che poi ci hanno fatto fare il callo a quello che era (da quasi 20 anni) il nostro Premier.
E' un peccato che se ne sia andato, già.
Ora il PD non potrà più chiedere le "dimissioni" di nessuno, D'Alema ha perso il suo miglior alleato, Napolitano con l'ultimo monito ha tagliato la testa al toro, sanguinante e quasi già morto.
Dopo di lui, chi c'è? Monti che investe Veronesi (sì, quello che lotta contro il cancro e allo stesso tempo appoggia gli inceneritori e che dice che "il basilico è cancerogeno"...) ma che allo stesso tempo da fiducia a Settis, rettore della Normale di Pisa (respiriamo).
Cosa ci aspetta? Ci aspetta che non abbiamo più scuse, che non possiamo più scaricare colpe al puffetto, che non possiamo più fare (troppe) facili ironie su BrunettaGasparriScajolaSantanchè etc.
Ci aspetta di essere responsabili (in senso lato, per carità) di noi stessi.
Ci aspetta di diventare Italiani, una volta per tutte e che questi ventenni già vissuti, non si ripetano più.

"Abbiam fatto l'Europa, facciamo anche l'Italia.." ('Io non mi sento italiano' - G.G.)

lunedì 7 novembre 2011

Con quella faccia un po' così..

Eh già, cantava così l'Avvocato Paolo Conte descrivendo un po' tutti noi che torniamo a Genova.
Sì, perchè Genova è di tutti, un po' per partito preso, un po' perchè per chi è cresciuto con i cantautori non può non essere un po' genovese nel sangue.
Zena, vecchia repubblica marinara, città dei poeti, dei navigatori partiti per scoprire il mondo, dei camalli, delle puttane, dei travestiti, di un dialetto mischiato al portoghese, di quell'aria che si respira solo in Via del Campo, di noi che il 4 novembre siamo rimasti tutti con quella faccia un po' così.
Distruzione, morte, fango.
Genova è una terrazza sul Tirreno, risplende tra le luci del porto ed il riflesso che l'endegu du matin irrompe sul mare, su quel mare.
Ora Genova ha la faccia di chi ha le mani sporche di fango ed il viso felice perchè via XX Settembre va ripulita, perchè non si può lasciarla così, la nostra Zena.
E allora tra un Luigi Tenco ed un Fabrizio De Andrè, tra un Bindi ed un Paoli, tra un Baccini, Lauzi ed un Fossati si sente in lontananza un belin di qua ed un belin di là, perchè lo si ammetta, pure il belin è parola di uso comune in tutti noi.
Le Notti di Genova che sono state scritte da Oliviero Malaspina e cantate da Cristiano (De Andrè n.d.r.) risuonano come un inno meraviglioso per la città del (e non di) mare.
"E adesso che ti penso io muoio un po', se penso a te un po' mi arrendo, alle voci distratte dei quartieri indolenti, alle ragazze dai lunghi fianchi e a Te che un po' mi manchi.." (Notti di Genova).
Rendiamole omaggio a questa puttana seducente che basta una volta per vederla e già ci faresti l'amore per sempre.
E' già finito il tempo del fango, Genova si rialza e si rialzerà e diventerà ancora più maledettamente seducente di prima.
E visto che "noi genovesi" siamo ostinati e contrari nel sangue, ci pare impossibile che anche questa volta la colpa sia di madre Natura.
Ci pare impossibile che i morti annegati siano perchè un fiumiciattolo ha straripato.
Ci pareva doveroso che un politichino (cit.) qualsiasi avrebbe dovuto far visita agli "angeli col fango" ed invece l'unico (non) politico che si è fatto vedere, anche solo per un abbraccio a quella gente, è stato un altro grande genovese, Beppe Grillo.
Ed è pur troppo scontato che nella mente di tutti risuonino le note di Dolcenera di Fabrizio come una storia un po' inventata e che quasi non ci ricordiamo più.

martedì 1 novembre 2011

Il rumore assordante dell'assenza, oggi sono 36 anni.

"Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto al trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre."

Questo è un inciso di Pier Paolo Pasolini di un articolo apparso nel Corriere della Sera, il 9 dicembre del '73.
Non sto certo qui a spiegarvi il pensiero "filo-pasoliniano" 36 anni (oggi) dalla sua morte.
Pasolini è stato un omicidio di Stato, perchè lo Stato non tollerava e mal sopportava questo intellettuale, pettinato con la riga in parte, dai modi e toni pacati e che con la stessa pacatezza schiaffeggiava le orecchie degli italiani.
L'immensità del Maestro sta nell'avere, per primo, messo in primo piano la coscienza collettiva di un popolo peccatore perchè ha sempre scelto la schiavitù.
E' una schiavitù (ormai solo apparentemente..) intellettuale, per carità, ma è una schiavitù voluta, decisa e, con la perversione del pensiero, accettata.
La libertà, intesa come "valore" (termine che aborro) è un'illusione, non esisterà mai.
Esiste però la "libertà interiore" che dobbiamo scoprire e scavare all'interno di noi stessi.
La coscienza, messa a dura prova dal fascismo intellettuale in voga oggi, è paragonabile ad un albero spoglio, cresciuto in mezzo ad un campo di terra battuta, dove il gelido vento invernale lo smuove e lo mette a dura prova di resistenza.
Sta a noi rimanere in piedi con tutto questo vento, per il resto, non c'è più niente da fare. (cit.)