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lunedì 22 aprile 2013

I miei rispetti, Presidente

Non ho mai avuto nessuna stima per il Napolitano Presidente e lo ribadisco.
Per il Napolitano Uomo, da oggi, sì.
E' da ammirare il gesto, oltre qualsiasi dietrologia, oltre qualsiasi considerazione politica.
Un uomo di 88 (ottantotto) anni che ci mette la faccia in questo disastro continuo è da stimare.
Non parlo del discorso fatto (discorso istituzionale, ma anche no) nel giorno del suo re-insediamento.
Parlo del gesto, dell'accettare il ruolo dello stupido, di "avevamo solo quello", del "meno peggio".
Prendessero esempio dal suo gesto gli altri uomini che hanno portato alla rovina questo paese.
Metteteci la faccia anche voi, per una volta nella vostra vita.
Vittima sacrificale, un Isacco contemporaneo, la pecora sacrificata agli dèi per un volere divino, pronto a mettere la guancia sulla roccia, aspettando che il boia finisca di pulire il coltello con cui lo sgozzerà.
Perchè di Giorgio Napolitano resterà, ai posteri, la nomea del "peggiore Presidente della Repubblica".
E lui forse lo sa.
Ma l'uomo, davanti a questo "Stato" che è più credibile come verbo passato anzichè come acronimo istituzionale,  va applaudito.
E non con quegli applausi venduti.
Per questo Suo gesto, Presidente, ha tutta la mia stima e ammirazione.
Perchè nell'ultimo respiro di un paese moribondo è riuscito a dare un segnale, se l'è caricato in spalla, contro tutto e tutti.
I miei rispetti.

venerdì 19 aprile 2013

Come fate?

Chi si prenderà la responsabilità di guardare i figli orfani di padre e di madre volati come uccelli giù da un cornicione per la vergogna di non poter garantire nemmeno il cibo ai propri figli?

Chi si prenderà la colpa di aver portato al collasso un paese?

Chi spiegherà alle ragazze costrette a vendere il proprio corpo per rincorrere un sogno chiamato "laurea"?

Chi spiegherà a loro cos'è successo in questi cazzo di anni zero? (cit.)

Chi oserà a parlare loro di "lacrime e sangue"?

Chi dirà ai disabili, ai tossici, agli anziani, ai poveri, ai disoccupati, ai licenziati, agli "epurati", agli "schizzinosi" eccetera eccetera eccetera (cit.) di andare affanculo?

Come si fa a spiegare ai propri figli che un pezzo di pane va diviso per tre o per quattro?

Chi risponderà degli omicidi di Stato?

Chi avrà la faccia di andare ai funerali di chi si dà fuoco davanti al Parlamento?

L'Italia. Aida, come sei bella, cantava qualcuno. 

Sì, ma chi dirà ai ragazzi che davanti alle manifestazioni studentesche c'è chi nelle stanze dei bottoni ride e si diverte?

Chi spiegherà ai genitori di Aldrovandi, Cucchi, Uva, Sandri che gli assassini sono fuori perchè un giudice ha deciso così. 

Come si fa a credere nelle Istituzioni? Ditemi che credibilità hanno?

Chi ha mai parlato di detenuti, Pannella a parte?


Futuro Presidente della Repubblica Italiana, chiunque Lei sia, sappia bene che a queste domande Lei dovrà rispondere. 

Perchè neanche questo popolo, nemmeno il popolo pecorone italiano, merita questo. 

Ma come fate?

Come cazzo fate?




giovedì 4 aprile 2013

Morosini e "La Viola d'Inverno" un anno dopo.

E' passato un anno o poco più dalla morte di Piermario Morosini.

Era un calciatore, un privilegiato, uno che faceva quel che gli piaceva.
Sì, tutto vero, per carità.
Ciò che ha commosso l'Italia, anzi, il mondo intero, di Morosini, sono stati i suoi ultimi istanti di vita.
Quando aveva sentito quello scossone, l'ultimo, al cuore.
Roberto Vecchioni direbbe che ha sentito "La viola d'inverno".
Ebbene, quando ha sentito quella Viola, quel suono che solo lui poteva sentire, perchè solo a lui si è mostrata la "signora vestita di nero" in mezzo al campo di Livorno, non ha mollato.
Ha provato a rialzarsi per rincorrere il pallone, ha provato, Piermario.
Ha sbattuto le mani a terra come a dire "Cazzo! Ora arrivo a difendere!".
E invece non ce l'ha fatta, Morosini è un eroe epico, uno di quelli che anche tra cent'anni a riguardare quelle immagini ti verranno i lacrimoni.
Perchè era un ragazzo del 1986, perchè la Viola d'Inverno poteva suonare per lui un po' più avanti e via con i luoghi comuni.
Ma Piermario prima di lasciare questa Vita, orfano da piccolo e innamorato, ci ha insegnato che si può anche morire con dignità. Combattendo fino all'ultimo, perchè il combattente è colui che quando cade tenta di rialzarsi con tutte le forze che ha, anche se poche.
Riposa in pace, Campione.

lunedì 1 aprile 2013

Jannacci e Califano: un filo rosso li ha uniti

Così lontani, così vicini.
Così diversi, così poetici.
Così pazzi, così folli.
Erano due creature al limite dell'illogicità Enzo Jannacci e Franco Califano.
Due menestrelli che parlavano un volgare autentico, molto più di quello di Dante, consci che pure Dante si sarebbe un po' incazzato e un po' divertito con loro.
Non hanno in comune niente Jannacci e il Califfo. Niente, tranne la morte.
E' proprio la livella a unire un filo rosso che parte dai sciuri milanesi e va a finire ai borgatari romani.
E chi si offendesse col termine "borgatari" s'andasse a leggere un Pasolini qualsiasi.
Milano e Roma, Roma e Milano. Due anime della stessa puttana messa lì a gambe aperte.
E loro davano voce a questa puttana, agli schiamazzi, alle occhiate, ai gesti, alle scopate dei milanesi e dei romani.
Enzo Jannacci e Franco Califano.
La Pasqua del duemilaetredici ci ha tolto due menestrelli impagabili. Quelli che erano poeti nell'anima e che si vergognavano d'esserlo.
Non lo dicevano ma lo erano.
Impossibile farne un confronto.
E quindi ricordiamoli con l'allegra follia di Enzo e la tamarra autorità di Franco.
Chè poi "Sfiorisci bel fiore", "Se me lo dicevi prima..", "Vincenzina e la fabbrica" piuttosto di "Minuetto" o "Tutto il resto è noia", passeranno alla storia. Già ci sono e a buon diritto.
Ricordiamo due ragazzi scapestrati degli anni trenta, che, loro malgrado, hanno unito Milano a Roma con un filo rosso di lacrime, in questa Pasqua povera del duemilaetredici.