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domenica 20 gennaio 2013

Grazie davvero, Sandro

Non conoscevo, come molti, quasi niente di Sandro Luporini se non il suo pensiero (che è poi lo stesso di Giorgio).
Non sapevo, ad esempio, che da ragazzo era un giocatore di basket e che aveva addirittura giocato in Nazionale.
Non sapevo molte cose che adesso so, grazie a questa specie di testamento spirituale che ha scritto con Roberto Luporini (che è il nipote di Sandro) in occasione del decennale della scomparsa di Giorgio.
Quasi trecento pagine, divorate in una notte e mezza.
Quel libro è tutto ciò che Sandro non ha mai detto ma che ha lasciato dire alla mimica facciale di Giorgio, a quella sua corporeità sghemba e a quella voce che assomiglia a quella di un padre buono.
Sandro si è messo a nudo, come mai è successo. Racconta aneddoti ma anche prese di posizione su tanti argomenti, questa volta in prosa, senza raccontarli attraverso monologhi.
Io, che non ho mai visto Giorgio in teatro (a causa del peccato originale che m'ha fatto nascere nel 1986), ho colto, forse meglio di molti che hanno visto Gaber anche più volte, il senso di quello che volevano comunicare.
Due persone nettamente diverse, Sandro e Giorgio, quasi all'opposto.
Il primo, molto schivo, a disagio con telecamere e taccuini, riservato e taciturno. Il secondo, beh, lo conoscete: sopra il palco un leone, una volta sceso, più a suo agio con i fans, forse per quell'educazione formale che li distingue. Non che Sandro sia un maleducato, per carità, ma dà quella sensazione che se gli stai sulle palle, te lo dice. Giorgio non l'avrebbe fatto mai (e nel libro ci sono aneddoti a testimonianza di questo).
Li ha accomunati una straordinaria ironia, una voglia di urlare con compostezza ciò che non gli andava bene, un'accesa incazzatura verso chi "odia per frustrazione e non per scelta" e verso chi non prende mai una posizione.
Quarant'anni insieme, Sandro e Giorgio: un matrimonio perfetto e quando il primo dei due se ne andò ad altra vita, il sopravvissuto si chiuse in un assordante silenzio durato, appunto, dieci anni.
C'era bisogno di questo libro firmato Sandro Luporini.
C'era bisogno molto più dei vari cofanetti commerciali che la Fondazione Gaber ultimamente ci propina e che, anche Giorgio disgusterebbe.
E' così lontana la filosofia gaberiana da questo consumismo (che loro per primi, hanno combattuto) che fa quasi ridere.
Ma d'altra parte, come dopo la morte di Fabrizio De Andrè, c'è un non-bisogno di incensare e vendere repliche su repliche dell'artista che non c'è più, come se si potesse fargli dire qualcosa di più di quello che già non ha detto, che fa un po' schifo. E' assurdo e molto, appunto, consumista questo gioco. Senza rancore, Dalia.

Questo libro però è stato davvero una boccata d'ossigeno, una sferzata d'aria pura, per chi non ha fatto in tempo a vederlo/i dal vivo. E' un cerchio che si chiude, è una ferita che (un po') si rimargina.
C'è voluto Sandro, viareggino, classe millenovecentotrenta a far atterrare il volo del gabbiano ipotetico.
Almeno oggi, almeno adesso, un po' si vola.


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