Io se fossi un critico musicale ed io potrei anche esserlo (cit.), dovrei essere asettico e distaccare l'affetto che provo per questo immenso artista con la barba bianca, io che l'ho visto ancora quando i peli non erano del tutto bianchi, contando più di venti live in giro per l'Italia.
Ne ricordo uno, a tal proposito, disperso nelle campagne piacentine, dove avevo appena preso la patente con una Uno Fire e dove, tra l'altro, ho conosciuto Guido Guglielminetti, alias il Capobanda, ricordo quel viaggio perchè al ritorno pensavo che quello era uno dei tanti viaggi e miraggi che avrei fatto, giurando amore eterno per il Principe, in futuro. E così fu.
L'anno duemiladodici ha presentato un conto salato a chi, come il sottoscritto, è nato e cresciuto con la canzone d'autore: la scomparsa di Dalla, l'addio di Fossati e l'invecchiamento, non solo fisico, di molti altri.
Il Principe no. Anzi, il Principe si è avvicinato, sorprendendo tanti suoi aficionados, al pubblico come mai prima d'ora, facendo live in posti impensabili, tendendo la mano a quel pubblico che da quasi quarant'anni lo segue e lo ama.
C'ha regalato questo disco, il Principe col cappello da marinaio, orfano del libretto (si dice per motivi commerciali, perchè, si dice, i libretti non li legge più nessuno, ma chi l'avrà mai detto..) ma con tanto contenuto al suo interno.
E' di difficile comprensione "Sulla strada" per chi non è abituato al tipo di scrittura degregoriana che utilizza, come pochi, la bellezza della metafora e ben poca ironia. Come dire: se capisci, bene, altrimenti non è un problema mio. (cit.)
Arrangiamenti e suoni da capogiro più che da capobanda, griffati Nicola Piovani (e stic..) ed appunto Guido Guglielminetti.
Il singolo ricorda parecchio "Pezzi", il contenuto è di stile degregoriano: piacevole, ascoltabile, orecchiabile, da viaggio, da strada.
Ottimo pezzo anche "Passo d'uomo" che riecheggia un monito che De Gregori mai ha abbandonato, ovvero, la sua riluttanza verso l'occhio di bue che per uno come lui sembra d'obbligo.
Il Principe vuole camminare a passo d'uomo e qui si collega il pezzo più impopolare, se vogliamo, del disco ma probabilmente il migliore "Guarda che non sono io", dove mette sotto i riflettori il suo disagio verso la mondanità, ricordando che " Qualcuno mi vede e mi chiama per nome, si ferma e mi ringrazia, vuole sapere qualcosa di una vecchia canzone e io gli dico scusami, però non so di cosa stai parlando, sono qui con le mie buste della spesa. Lo vedi sto scappando, se credi di conoscermi, non è un problema mio". Touchè.
Metaforico ma non solo è "Omero al Cantagiro" dove un Omero risorto, sale sul palco del Cantagiro e canta la guerra di Troia evidenziando che solo il gesto di Omero potrebbe aprire gli occhi verso la crisi della musica odierna.
Altro capolavoro è "Falso movimento" con tocchi musicali di classe, canzone d'amore che resta un evergreen nel catologo principesco.
Gli altri pezzi, sono sempre con il solito marchio di fabbrica, mezzo metaforico e mezzo no. Ne "La guerra" riprende sonorità già ascoltate nel disco di duetti di canzoni popolari con Giovanna Marini, pezzo malinconico, dove si tirano le somme al '900, secolo di guerre, quello delle trincee e della polvere da sparo, tema già ripreso dal Principe in "Pezzi", ad esempio.
Nostalgico anche "Belle époque" con sonate da secoli scorsi, carino e penso anche abbastanza biografico "Ragazza del '95" e "Showtime".
Insomma, non è giusto fare paragoni tra dischi dello stesso artista, sarebbe facile, per me, indicare l'apice in "Amore nel pomeriggio" (primissimi anni '90), ma tutto sommato in questa crisi cantautorale, un De Gregori del genere va bene.
Come sono contento, Francesco.
Nessun commento:
Posta un commento