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sabato 29 giugno 2013

Scanzi se fosse Scanzi: un innamorato che racconta Gaber

Prima o poi doveva capitare. 
Prima o poi l'avrei visto "Gaber se fosse Gaber".
Ma sarebbe troppo facile per me parlare di Giorgio Gaber, Lui lo invoco e ne parlo gran poco e con poche persone intime per un pudore mio, intimo.
Mi piace, invece, parlare del lavoro Scanziano su Giorgio.
Quando conobbi la zia di Andrea, dopo tante chiacchierate, mi disse che io ed il nipote siamo stati separati alla nascita, caratterialmente, ovviamente. Vanitosi, saccenti, polemici eccetera eccetera eccetera. (cit.)
Ma quando cresci con gli stessi maestri di vita (Pasolini, Gaber, Fenoglio, Saramago etc.) non puoi non avere quel minimo di piccola presunzione nel pensare che quelli là sono un branco di idioti. E per "quelli là" potete pensare a chi volete. 
Io, nonostante tutto, ho avuto la disgrazia ancestrale di non avere MAI visto Giorgio dal vivo. 
Logico che quando l'occhio di bue ha illuminato Andrea, seduto su quella seggiola, nella stessa posizione in cui Gaber apparì per l'ultima volta pubblicamente da Celentano, prima di una lentissima agonia che lo portò a miglior vita il primogennaioduemilatre, un brivido e una lacrima mi sono venuti. 
Gaber si presentò in televisione con la gamba sinistra tesa con il piede alzato per attutire il dolore che lo stava, lentamente, distruggendo.
Scanzi ha iniziato in questo modo preciso il racconto del Maestro, un racconto ricco e spietato, com'era Lui.
E via gli anni sessanta, i settanta, gli ottanta, i novanta e poi stop. 
Celentano, Mina, Luporini, Battiato, la televisione, il Piccolo di Milano, Ombretta Colli, gli intellettuali del "Bar Casablanca", i video inediti delle televisioni svizzere, "Io se fossi Dio", Dario Fo e mille altri "fattori esterni", c'ha raccontato Andrea
Ma se non sei innamorato, è inutile che scrivi una poesia d'amore. Non ti verrà mai bene. 
E Scanzi è follemente innamorato di Gaber, forse è più innamorato di Gaber che di sè stesso
Decenni raccontati da chi sembra essere uscito dalla scuola di Albertazzi l'altro giorno. 
Invece era solo il racconto di un innamorato. 

Nelle ottantasei (?) repliche, Scanzi ha fatto suoi i tempi teatrali: sa come farti ridere, sa come farti commuovere, sa come incalzarti, sa come lanciare una frecciatina a destra e a manca, sa cosa dire e sa cosa non dire. Ma soprattutto, sa quando fermarsi
Il sapere fare "pausa" tra un monologo ed un altro, è una dote che ho visto saper fare solo ai grandi. 
Un famoso amico musicista mi ha sempre detto che la pausa in una canzone, arricchisce il pezzo. 
La pausa in un monologo oltre ad arricchirlo, bisogna essere in grado di saperla fare e, per fare ciò, bisogna  conoscere a memoria i respiri, i battiti del cuore e anche gli alambicchi della ragione (cit.). 

Mi preme sottolineare, inoltre, un fatto scontato ma che in realtà di scontato ha ben poco, per i profani: conoscere il proprio pubblico
Quando racconti Gaber devi mettere in preventivo che c'è chi viene a vederti perchè amava Gaber o perchè lo odiava, c'è chi viene a vederti perchè non l'ha mai visto (dal vivo) o perchè l'ha visto troppe volte. Hai a che fare con un segmento d'età che va dai 14 (che è proprio l'anno in cui io ho scoperto il Maestro) in poi. 
E questo è un dettaglio non trascurabile. 

E poi, dopo novanta minuti, bisogna saper chiudere: bisogna mandare a casa la gente con una sorta di morale collodiana. E non c'è morale nel modo in cui Scanzi ha chiuso il sipario, proprio perchè sia Giorgio che Sandro, della morale non sapevano proprio cosa farsene. 
E qual è il miglior modo per salutare il proprio pubblico se non citando una frase de "Il Suicidio"?

"C'è una fine per tutto e non è detto che sia la morte"

Complimenti Andrea, come dicesti, mi hai fatto piangere, ridere, incazzare e sdrammatizzare in un'ora e mezza, ovviamente attraverso il tuo, il Nostro, Grande Maestro. 

giovedì 27 giugno 2013

Obama in un'immagine che farà epoca

E' un'immagine che sicuramente farà storia più che scalpore.
Barack Obama, il primo Presidente nero della storia degli Stati Uniti, in Senegal, che scruta l'orizzonte dell'oceano appoggiato come una sentinella nella "porta di non ritorno".
E' così che gli africani chiamavano quel bivacco, quella fessura scavata nella roccia.
Da lì, per secoli e secoli, salivano uomini, donne e bambini, per non si sa dove.
La famosa "tratta degli schiavi".
Quando il piede scalzo varcava quella porta creata nei secoli dal vento nella roccia, sapevi che la tua terra non l'avresti mai più rivista.
Provate ad immaginare la sensazione.
E via, uomini trattati come tonni in una tonnara o come porci in un porcile, pronti all'uso.
Salpavano le navi spagnole, portoghesi, americane per portare i "negri" a fare gli schiavi.

Obama nella "porta di non ritorno" non è solo un'immagine toccante che fa commuovere, è molto di più.
E' l'arrendevolezza degli americani contro le torture che hanno, anzi, che abbiamo fatto ai danni di un continente, il più ricco del mondo.
Proprio nel giorno in cui uno dei più grandi uomini che ha calcato questa terra, Nelson Mandela, si sta spegnendo.
Ciò che mi ha colpito di quella precisa e spudorata immagine è stata l'espressione del Presidente.
Un gomito appoggiato sulla roccia e le mani che si toccavano nervosamente la faccia.
Lo sguardo all'Atlantico e all'infinito e chissà a che pensiero.
Chissà se ha pensato a quanti in quei viaggi allucinanti sono morti e, se fortunati, a quanta schiavitù hanno dovuto obbedire.
Ecco, Presidente, lei è un uomo che ammiro, è di colore come tutti i milioni di schiavi che il Paese che governa (e non solo) ha fatto morire come porci al macello e può capire, meglio di un bianco, cosa voglia dire quella fessura che guarda l'oltre.
Ma mentre guardava l'orizzonte, pensieroso, spero abbia pensato che la tratta degli schiavi non è cessata, ce ne sono ancora.
E poi, chissà cos'avrà veramente provato, Mister President, affacciandosi da quella porta maledetta.
Sono sicuro, davvero sicuro, che un'esperienza del genere non l'avrà lasciata indifferente.

sabato 22 giugno 2013

Le colpe della massa ed il mio ruolo di intellettuale anarchico

I tanti drammi che vive questo malcelato paese in quest'ultima epoca, possono venire riassunti in una specie: la massa
Nulla è più corrosivo e dannoso per l'umanità della massa.
Mi spiego: se negli anni '60, '70 e addirittura '80, la massa si riconosceva e deputava i pieni poteri della propria esistenza con una semplice croce su un simbolo elettorale e quindi si fidava, oserei dire, teneramente, benchè con la colpa dell'ignoranza, ai vari uomini politici che hanno governato questo paese, mi sento di dire che oggi lo scenario è totalmente cambiato. 
Oggi la massa è ancora più ignorante della massa di allora che credeva nei Moro, nei Fanfani, nei Craxi eccetera. 
Oggi la massa si affida, paradossalmente, a sè stessa, creando una sorta di dramma umanitario storico, mai avvenuto prima d'ora.
Il motivo per cui succede questo meccanismo è molto semplice: oggi la massa si sente e si crede acculturata.
Inutile dire che, in quanto tale, non può esserlo, altrimenti ognuno avrebbe un'ideale, una libertà ed onestà intellettuale e soprattutto uno spirito critico. 
Nulla di tutto ciò avviene nel 2013 d.C.
La massa oggi si affida alle mode. E non parlo di "moda" nel senso effimero del termine.
Parlo di "moda" quando parlo di tutto ciò che calamita un sempre più innumerevole numero di persone, catalogabili sotto la voce "esseri non pensanti".
Si può fare una buffa metafora con uno stormo di uccelli che emigrano da un posto all'altro, in base al cambio delle stagioni.
Gli stormi di uccelli si fanno trasportare dai venti, la massa dagli eventi. 
Tutto diventa evento, basta che sia moda. 

Ciò che annienta il pensiero, o meglio, il non-pensiero, è proprio l'affidarsi completamente ad un modo di essere che non appartiene all'individuo in sè ma che appartiene a più individui. 
L'abnegazione del pensiero parte proprio da lì, dalla non ricerca, dalla non curiosità, dalla superficialità intellettuale, dalla negazione inconscia della coscienza.
Perchè, io, a ventisette anni, parlo di questo?
Probabilmente perchè questo dramma esistenziale lo sento vicino tutti i giorni, ed essendo anarchico (...) lo tocco con mano.
Tocco con mano le etichette ed i giudizi. 
Tocco con mano il fatto che la gente (sì, la gente) ti guarda come un mostro a tre teste solo per il semplice fatto che tu non ne fai parte, di quella massa. 
Questa mia scelta, mi dà la consapevolezza non solo di non venir capito ma quel che è peggio è di venire capito a piacimento della massa stessa.
Mi definisco un intellettuale, perchè analizzo con spirito critico i fatti senza faziosità alcuna: ma il definirsi "intellettuale" non è assolutamente un vantaggio o un pregio. 
E' una ragion d'essere. 
La stessa ragione che non mi dà la possibilità di ribattere a chi mi accusa di essere ciò che sono, perchè comunque, ribadisco, non verrei capito. 

martedì 18 giugno 2013

Da Istanbul a Balotelli

Gezi è il parco più importante di Istanbul, la seconda città turca.
Nel parco di Gezi ci sono seicento alberi che secondo il governo Erdogan, devono andare tagliati per costruire un centro commerciale.
La Turchia ci hanno sempre insegnato che anche se politicamente unita nelle carte geografiche, è sempre stato un paese diviso da lotte religiose, da due capitali (quella istituzionale è Ankara), sappiamo di Costantinopoli, dei poeti turchi (Hikmet, il mio preferito), dei bizantini etc.
Non sappiamo che da giorni nel parco di Gezi, nel cuore di Istanbul, è in atto una guerra civile.
Per il petrolio? No.
Per ideologie politiche? No.
Perchè dei ragazzi, ormai diventati una marea, si sono rotti le palle della cementificazione selvaggia del governo.
Erdogan come tutti i dittatori ha oscurato le tv di stato e i mezzi d'informazione.
Ora ad Istanbul, arrivano popoli e genti da tutta Europa a solidarizzare con il popolo turco.
Sì: popolo turco.
Unito, ora più che mai.
I ragazzi si sono incazzati, si beccano tafferugli della polizia ogni notte, i feriti non si contano neanche più.
Lacrimogeni con spray che dire nocivi è un eufemismo e loro lì, per rivendicare un diritto.
Il loro parco di Gezi è più importante di un centro commerciale.
La rivolta turca è l'emblema che tutto il mondo si sta ribellando ai tiranni (o tirannosauri).
Sì, tutto il mondo. Tranne un paese.
Quello del Pd, quello dell'inciucio, quello della Lega.
In Italia, il massimo che si fa (ma stiamo proprio parlando di anarchici impazziti) è condividere un link su facebook.
E poi va tutto bene.
p.s. Avete visto che gol ha fatto Balotelli?

venerdì 14 giugno 2013

Cucchi, Aldrovandi, Uva: un tema per la maturità

Non ho espresso alcuna parola sulla vicenda Cucchi, primo perchè mi fa male personalmente e secondo perchè a volte non abbiam bisogno di parole. (cit.)

Ilaria è stata tacciata di aver usato il proprio cognome a fini politici, io, conoscendola, posso dirvi che non è così, ma tant'è che le accuse venivano da un Giovanardi qualsiasi. 
Dopo la conoscenza che ho avuto con il Dott. Manconi, direttore dell'associazione "A buon diritto" e dopo aver toccato con mano la sofferenza della famiglia Cucchi, degli Aldrovandi e della famiglia Uva, urge sottolineare il fatto che:
- in Italia la Magistratura va riformata, totalmente;
- in Italia chi indossa una divisa, spesso, è come se indossasse un abito papale

Tempo fa mi scagliai, contro l'ennesima manifestazione studentesca sfociata in rissa contro la polizia. 
In tanti mi diedero del "pasoliniano fuori tempo massimo" mentre il mio intento era solo quello di non fare per forza di tutta l'erba un fascio.
Lo sa anche Gasparri (oddio, non esageriamo) che il marcio c'è ovunque, ma non è neanche questo il punto.
All'epoca mi sentii in dovere, in quanto intellettuale, di criticare il non-sense delle sempre più inutili manifestazioni. 
Volete manifestare? Prendete esempio dalla Turchia oggi, ad esempio.
L'epoca dei girotondi è finita (semmai fosse iniziata) e ha portato bene solo a Nanni Moretti (avessi detto Monicelli).

I casi di omicidi di Stato, perchè è così che si devono chiamare, è tutt'altra storia. Trattasi di poveri disgraziati, finiti in carcere, in attesa di giudizio e uccisi. C'è chi il carcere non l'ha addirittura visto, con Aldrovandi, ad esempio, hanno fatto prima: l'hanno pestato a sangue per strada
E prima ancora ci fu l'anarchico Pinelli e poi molti altri. 
Sì, Pinelli, quello che a sentir loro, voleva fare come Lindbergh e volare dal piano più alto della Questura di Milano. Che ci vuoi fare se uno ha la passione del volo?
Stefano Cucchi deve essere l'esempio, se ne deve parlare a scuola, nei bar, ovunque. Era il sogno di Falcone e di Borsellino "la mafia verrà sconfitta quando se ne parlerà a scuola..".

Sarebbe bello se alla prossima maturità venisse consegnato ai ragazzi l'argomento "Cucchi, Aldrovandi ed Uva".
Sarebbe un passo avanti di civiltà, nel paese in cui questa parola è abiurata, nel paese in cui si muore per strada. Nel paese in cui il sindaco di Milano vieta di mangiare il gelato per strada dopo mezzanotte. 
Nel paese di Stefano Cucchi, di Federico Aldrovandi, di Giuseppe Uva e di tanti altri.
Ministro dell'Istruzione: faccia una bella cosa. Faccia in modo che questi nomi non cadano nel dimenticatoio, come tanti altri. 
Le farebbe onore. 

venerdì 7 giugno 2013

Miserabili esseri non pensanti

La cronaca è la seguente: un padre porta il proprio figlio di due anni a scuola. La scuola che frequenta il bimbo è nel tragitto che egli fa ogni mattina per andare a lavoro.
Succede che il bimbo, seduto dietro nel seggiolino, sta in silenzio mentre papà guida.
Una guida con i mille pensieri che tutti noi abbiamo, ogni santo giorno.
Il padre si reca a lavoro, non accorgendosi di Luca, suo figlio, che nel tragitto si addormenta nel sedile posteriore.
Sono le solite otto ore di lavoro, monotone, che gli consentono di portare a casa quattro luridi soldi per mandare avanti quella famiglia di cui Luca, da poco tempo, ne è il motore, la gioia, l'epicentro gioioso.
Doveva andare all'asilo, il bimbo, quella mattina. Le maestre non lo vedono arrivare, lo pensano malato.
All'orario di uscita dei bimbi da scuola, i nonni di Luca, sono lì, pronti a prendere la loro creatura e a portarlo a casa. Ma Luca non c'è. Non lo vedono uscire dal cancello della scuola.
Eppure sono sicuri che il bimbo quel mattino a scuola ci doveva essere. Cosa sarà successo?
Luca quel mattino non è andato a scuola perchè è rimasto chiuso in macchina per otto ore. Probabilmente il primo giorno di caldo di quest'anno, a volte la vita è anche questo.
Papà sta per uscire dal lavoro e si accorge della tragedia. Urla, sbraita, ansima, corre come un folle verso la macchina, dopo aver realizzato ciò che stava succedendo.
Apre la macchina, lo trova esanime, senza vita.
Ripeto: il padre trova suo figlio di due anni senza vita.
Gli viene un malore e cade a terra.
Qualcuno chiama l'ambulanza e i Carabinieri. La tragedia è compiuta.

E poi è la solita storia. L'Italia, anzi, il mediocre popolo italiano, inveisce contro il padre, colpevole di essersi dimenticato il figlio in una scatola di latta per otto lunghe ore.
I giudizi si sprecano, chissà in quanti hanno augurato la morte a quell'uomo.
I giornalisti sbattono il mostro in prima pagina.
"Ma come cazzo si fa a dimenticarsi il figlio in macchina!? Vergogna, deve morire anche lui" mormora la gente.

Ora Luca non c'è più, ha messo le ali da angelo ed è volato in cielo.
Il papà ora subirà processi e ingiurie di tutti i tipi.
Il sindaco di Piacenza è stato uno dei pochi a prendere le difese del padre, provando ad azzardare un "può capitare a tutti".
Certo Sindaco che può capitare a tutti. Ma qui siamo in Italia.
L'italiano è un popolo da bar e quindi il padre deve morire.

La gente che dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio (cit.) dovrebbe andare da quel padre, prenderlo ed impalarlo. Anzi, scuoiarlo come i porci. E sentirlo piangere dal dolore, ancora una volta, ancora di più, allora sì che la punizione sarebbe giusta.

Ora tu becero e misero uomo che giudichi:
in nome di chi giudichi quell'uomo?
Non pensi che gli basta già il senso di colpa eterno di sentirsi l'omicida del proprio figlio?
No, forse non lo pensi. Perchè sei abituato al non pensiero.
Quindi è giusto che paghi, quel padre. E' la legge degli uomini.

A Luca lo aspetta il Paradiso Divino.
Al papà l'inferno umano.