Prima o poi l'avrei visto "Gaber se fosse Gaber".
Ma sarebbe troppo facile per me parlare di Giorgio Gaber, Lui lo invoco e ne parlo gran poco e con poche persone intime per un pudore mio, intimo.
Mi piace, invece, parlare del lavoro Scanziano su Giorgio.
Quando conobbi la zia di Andrea, dopo tante chiacchierate, mi disse che io ed il nipote siamo stati separati alla nascita, caratterialmente, ovviamente. Vanitosi, saccenti, polemici eccetera eccetera eccetera. (cit.)
Ma quando cresci con gli stessi maestri di vita (Pasolini, Gaber, Fenoglio, Saramago etc.) non puoi non avere quel minimo di piccola presunzione nel pensare che quelli là sono un branco di idioti. E per "quelli là" potete pensare a chi volete.
Io, nonostante tutto, ho avuto la disgrazia ancestrale di non avere MAI visto Giorgio dal vivo.
Logico che quando l'occhio di bue ha illuminato Andrea, seduto su quella seggiola, nella stessa posizione in cui Gaber apparì per l'ultima volta pubblicamente da Celentano, prima di una lentissima agonia che lo portò a miglior vita il primogennaioduemilatre, un brivido e una lacrima mi sono venuti.
Gaber si presentò in televisione con la gamba sinistra tesa con il piede alzato per attutire il dolore che lo stava, lentamente, distruggendo.
Scanzi ha iniziato in questo modo preciso il racconto del Maestro, un racconto ricco e spietato, com'era Lui.
E via gli anni sessanta, i settanta, gli ottanta, i novanta e poi stop.
Celentano, Mina, Luporini, Battiato, la televisione, il Piccolo di Milano, Ombretta Colli, gli intellettuali del "Bar Casablanca", i video inediti delle televisioni svizzere, "Io se fossi Dio", Dario Fo e mille altri "fattori esterni", c'ha raccontato Andrea.
Ma se non sei innamorato, è inutile che scrivi una poesia d'amore. Non ti verrà mai bene.
E Scanzi è follemente innamorato di Gaber, forse è più innamorato di Gaber che di sè stesso.
Decenni raccontati da chi sembra essere uscito dalla scuola di Albertazzi l'altro giorno.
Invece era solo il racconto di un innamorato.
Nelle ottantasei (?) repliche, Scanzi ha fatto suoi i tempi teatrali: sa come farti ridere, sa come farti commuovere, sa come incalzarti, sa come lanciare una frecciatina a destra e a manca, sa cosa dire e sa cosa non dire. Ma soprattutto, sa quando fermarsi.
Il sapere fare "pausa" tra un monologo ed un altro, è una dote che ho visto saper fare solo ai grandi.
Un famoso amico musicista mi ha sempre detto che la pausa in una canzone, arricchisce il pezzo.
La pausa in un monologo oltre ad arricchirlo, bisogna essere in grado di saperla fare e, per fare ciò, bisogna conoscere a memoria i respiri, i battiti del cuore e anche gli alambicchi della ragione (cit.).
Mi preme sottolineare, inoltre, un fatto scontato ma che in realtà di scontato ha ben poco, per i profani: conoscere il proprio pubblico.
Quando racconti Gaber devi mettere in preventivo che c'è chi viene a vederti perchè amava Gaber o perchè lo odiava, c'è chi viene a vederti perchè non l'ha mai visto (dal vivo) o perchè l'ha visto troppe volte. Hai a che fare con un segmento d'età che va dai 14 (che è proprio l'anno in cui io ho scoperto il Maestro) in poi.
E questo è un dettaglio non trascurabile.
E poi, dopo novanta minuti, bisogna saper chiudere: bisogna mandare a casa la gente con una sorta di morale collodiana. E non c'è morale nel modo in cui Scanzi ha chiuso il sipario, proprio perchè sia Giorgio che Sandro, della morale non sapevano proprio cosa farsene.
E qual è il miglior modo per salutare il proprio pubblico se non citando una frase de "Il Suicidio"?
"C'è una fine per tutto e non è detto che sia la morte"
Complimenti Andrea, come dicesti, mi hai fatto piangere, ridere, incazzare e sdrammatizzare in un'ora e mezza, ovviamente attraverso il tuo, il Nostro, Grande Maestro.
Ho visto lo spettacolo due volte e so cosa intendi quando parli di "innamorato". E' vero: Andrea è innamorato di Giorgio. E si sente.
RispondiEliminaCosì riesce a trasmettere davvero bene ogni cosa, ogni sfumatura, perché solo chi ama sa entra così a fondo dentro l'oggetto del suo amore.