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lunedì 25 marzo 2013

La storia di un barbone, a Padova.

Padova, Piazza delle Erbe.
Una delle piazze più belle e folkloristiche di Padova. Dove negli anni buoni facevi una spesa di frutta e verdura.
Oggi in quella stessa piazza, piove, anzi, nevica.
E' strana una settimana Santa con la neve, mi dice Enrico.
Enrico è un cristiano di quasi due metri, vedovo. Con un figlio partito per l'Australia con la speranza della sopravvivenza.
Sì, perchè questo è quello che dobbiamo sperare, noi sfigati nati negli anni ottanta: la sopravvivenza.
Sua moglie se n'è andata a miglior vita tre anni fa e lui, dopo essere stato licenziato dalla fabbrica a cui ha prestato servizio per venticinque anni, fa il barbone.
Un po' passa le notti sotto i portici patavini, un po', quando fa caldo, dorme sulle panchine. E si deve nascondere, perchè "è un brutto spettacolo per i turisti".
Dice che va al Santo ogni benedetto giorno e che non chiede nessuna grazia. Prega. Prega e basta.
Belli i tempi della fabbrica, mi dice. E mentre me lo dice, scorgo lacrime di commozione e polpastrelli neri dovuti al grasso che ha dovuto manipolare per avvitare bulloni una vita.
Perchè lui ci credeva.
Ci credeva che con quel suo stipendio poteva garantire una vita "normale" alla sua famiglia.
Ora Enrico è solo. E' più solo che povero.
Perchè la crisi oltre che economica è nell'anima: nell'anima di chi ha sputato sangue in una catena di montaggio per decenni, nell'anima di chi non può opporsi ad una lettera di licenziamento quando un mese dopo il suo datore di lavoro è volato dal terzo piano di una palazzina per la vergogna di non poter più pagare i propri operai e di doverli, oltretutto, licenziare.
E quando gli ambulanti se ne vanno da Piazza delle Erbe, assieme ad altri benedetti uomini e donne, per la maggior parte italiani, si immerge nei cassonetti delle immondizie, a cercare qualche gamba di sedano che a lui pare buona, tanto per far tacere lo stomaco.
Di giorno cammina per il centro di Padova e ogni tanto va alla mensa della Caritas. Ci va ogni tanto perchè, mi dice, che ci sono poveri più poveri di lui.
Suo padre è morto in guerra, la seconda, per difendere la Patria.
Ma sono racconti anacronistici perchè pure oggi siamo in guerra, solo che stavolta il nemico è invisibile.
Non puoi incazzarti con nessuno, mi dice.
Barba e capelli color cenere, lunghissimi quasi a testimoniare un fioretto alla Madonna.
Gli chiedo se ha una casa e lui mi dice che la sua casa ora è di Equitalia, "Macelleria Equitalia" come ha scritto il mio amico Giuseppe Cristaldi.
E allora tra un gambo di sedano per far star zitto lo stomaco, una preghiera a Sant'Antonio, chiede la carità, sotto i portici di Padova.
E ogni tanto spera di procurarsi due euro per bere un cappuccino.
Perchè questa è la vita nel 2013.
E' la vita di chi lotta per non morire di fame e di freddo.
Grazie per la dignità, Enrico e che Dio ti aiuti.

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