Ci sono angeli che ogni tanto da lassù qualcuno manda in Terra.
Pietro Mennea era uno di questi.
Uno di quelli che il 28 giugno scorso gli scrissi in privato "Tanti auguri grande campione, lei compie è nato lo stesso giorno, mese ed anno di mio padre che è un suo grandissimo tifoso", uno qualsiasi, sì, uno qualsiasi, ti snobberebbe. Mennea no. Mennea mi rispose, dicendomi "Oh, grazie mille Carlo. Fai tanti auguri anche a tuo padre, '52: classe di ferro!! Un abbraccio, Pietro".
Eh già, caro Pietro: '52, classe di ferro.
L'espressione che avevi quando correvi era di un animale affamato, ti si digrignavano i denti, ti si sgranavano gli occhi. Con quel fisico asciutto, superavi tutti.
Sembravi telecomandato dal vento che è fatto della tua stessa essenza. Era tuo padre, il vento.
Quando gareggiavi, caro Pietro, non ce n'era per nessuno.
Tu stesso dicevi di essere "bianco fuori e nero dentro".
Eh sì perchè l'atletica è sempre stata cosa per i neri, che hanno la corsa nel sangue. Che ci facevi tu, lì?
E poi quando hai smesso hai preso tre lauree, perchè correre e primeggiare non era una tua volontà: era semplicemente più forte di te.
Ovviamente lo sport italiano ti ha dimenticato, di te si hanno filmati nelle teche Rai, perchè non sia mai di fare Presidente del Coni il più grande sportivo italiano di tutti i tempi.
Ora di te resterà sempre il ricordo di chi ti ha visto volare sulla terra battuta e di chi, come me, ha sentito raccontarti mille volte.
Mio padre oggi ha pianto alla notizia, ed è la prima volta che l'ho sentito piangere.
Mennea era un angelo venuto in Terra per fare lo spot della vita: pure se sei a terra e cadi, rialzati e corri. Corri. Corri. Non importa dove stai andando. Tu, corri.
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