"L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, coazione, moralismo, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo."
Sono parole di Pier Paolo Pasolini del 1962.
Parole che Pier Paolo ha portato avanti fino a quel 2 novembre di molti anni dopo, quando lo Stato uccise la mente massima che la nostra cultura abbia mai partorito.
Si può essere d'accordo o meno con Pasolini ma il punto è un altro: ciò che devasta, del pensiero filo-pasoliniano, a cui io mi sento di appartenere, è la linea netta di demarcazione tra la verità e la finzione, tra vita e morte, tra sacro e profano.
E' una linea retta che contrappone l'Italia e gli italiani dal dopoguerra in poi.
Sarà buffo che addirittura nel fascismo non vi era questa stagnante omologazione.
C'era, sicuramente, un'omologazione materiale ma quella che ha fermato il pensiero è arrivata con l'avvento della televisione e dei medium di massa servi da sempre di qualche padrone.
L'italiano nel tempo continua a peggiorare poichè assume sembianze di cavia da laboratorio, non è più l'essere pensante e creatorio di qualche decennio fa.
La massa non monopolizza ma viene monopolizzata.
In quest'epoca perfino un Panariello qualsiasi, fa ridere.
La scontatezza della bieca comicità di Panariello è quella dei comici anni '90. Quelli che a furia di tette e di culi hanno portato nei cinema, appunto, masse di bipedi che ridevano a comando.
Anche e soprattutto così si fa la dittatura.
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