E' buffo che ciò che imprigiona una persona più di tutte sia il nome.
Sì, intendo il nome di battesimo.
Soprattutto ultimamente, dove pure i soprannomi di famiglia se ne sono andati al camposanto.
Una volta venivi chiamato per soprannome e poi, eventualmente, per nome di battesimo.
Ora, appunto, i soprannomi esistono di rado. La tradizione del soprannome viene continuata soprattutto nel sud.
Un nomignolo, un qualcosa che venisse associato al capofamiglia, viene tramandato per generazioni.
Al nord non succede quasi mai e questo è un po' triste.
Ma ciò che conta è che il nome, o il soprannome, è una catena che "perseguita" la persona per sempre, più di un'ombra, perchè almeno al buio l'ombra smette, il nome no.
Ed ecco che quando ci presentiamo ad uno sconosciuto diciamo sempre e comunque "Io sono Carlo".
Come se il "io sono" e basta non fosse poi così importante.
Abbiamo un bisogno ancestrale di questo rafforzativo.
Immaginatevi un dialogo tra due persone.
- "Ciao, come va? Io sono."
- "Ciao, tutto bene, grazie. Anch'io sono."
Ci siamo dimenticati di essere, più che di essere il Signor Pincopallino.
"Siamo" nonostante il nome, nonostante tutto.
Sarebbe più bello presentarsi dicendo "Mi chiamo Carlo" perchè quello è il mio nome ma non è la mia essenza, io sono, comunque, io.
Gli animali per presentarsi ai propri simili si annusano, noi diamo il nostro biglietto da visita o la carta d'identità.
E' una negazione d'identità, la carta d'identità.
Come se senza quel pezzo di carta, non si esistesse.
E' così che c'hanno educati.
E' così che c'hanno rubato il pensiero.
filosofo de noaltri
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